domenica 7 ottobre 2012

ALLUCINAZIONI

Sono anni che lo conosco, cinque. Mai visto. Parliamo da cinque anni, scriviamo da cinque anni. Tre anni fa per la prima volta ho sentito la sua voce; che sento più spesso adesso, con toni sempre nuovi. Lui mi parla. Io parlo a lui. Lui sa della mia vita. Io della sua. Ha un biglietto del treno per me andata-ritorno in giornata; mi viene a prendere in stazione e mi porta nel suo ufficio: nel suo. Sarò seduta su una sedia durante il suo orario di lavoro; zitta. Gli preparerò il caffé, se lo vorrà, andrò a prendergli da mangiare se ne avrà bisogno. Tutto è diverso. Posso vestirmi come mi pare, ha detto. ancora non so che tempo fa. Ci si arriva in ascensore al suo ufficio, la mia sedia è lì dove doveva essere, comoda, dice lui. Lui non mi parla più: le parole le abbiamo dette tutte, le conosciamo, ne sentiamo l'odore da lontano. E la sedia non è comoda dopo un po', e io non posso muovermi; rami di corteccia cerebrale, la sua, mi avvolgono e segano polsi e caviglie. Sono libera, dice, posso andare in bagno, dice, se ne ho bisogno; vado. Cammino, ma è quasi ora: sento la gente che si prepara, le sedie che si muovono, porte che si aprono e chiudono. Il bagno è pulito. Quando torno lui non c'è, io devo aspettarlo, ha detto, seduta sempre, lì. E' un'allucinazione, una bolla di sapone, una striscia di moebius ed io vado. In stazione, di nuovo.

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