sabato 23 luglio 2011

SOFFOCO


Soffoco, e non è per questo caldo che tutti dicono asfissiante. Soffoco, e non è per il tuo cazzo che mi riempie la bocca. Soffoco senza rimedio al soffocamento. Sono rimasta incastrata nelle porte di un ascensore che non accenna a restiruirmi la libertà. Forse non gliel'ho chiesta; forse non la voglio. Sbircio nello specchio alle mie spalle: mi sono cresciuti i capelli e mi vedo diversa, tanto che fatico a riconoscermi. Oggi è tutto un rimescolìo, una pesantezza, un dubbio. Dubbio? No. Ho sbagliato, non volevo dire dubbio, non l'ho pensato. Ma ho pensato altro ("troppo pensi" - dice la mia amica): ho pensato a tutto e al contrario di tutto per essere pronta alla risposta, alla guerra, alla disfatta. Ho pensato a colori e anche in bianco e nero; ho pensato al freddo e anche al caldo; ho pensato da sveglia e nel sonno. Penso a quello che è successo (al poco) e a quello che ho solo immaginato (al tanto): penso perché non ho nulla da costruire, se non castelli di parole; immagini infiocchettate e ritoccate al photoshop, foto di una vita condivisa che non esiste. Sta tutta lì, nell'ascensore di splendido acciaio, mezza arrampicata sulle pareti, o infilata nel neon della lampadina sul soffitto. Sta tutta lì e mi soffoca: ma ancora non esco.

TU non sei TU


Tu non ci sei. Tu manchi. Io guardo le tue foto: sono centinaia. Me ne sono accorta solo stamattina di quanto tu venga fotografato dai tuoi amici e forse da lei: non mi fa male. Guardo quelle in cui tu sei solo, poi quelle in cui siete abbracciati stretti, occhi socchiusi: e non fa male. Non fa più male. Ti guardo e quel TU non sei TU: è come guardare un divo, un personaggio, non qualcuno a cui si è stretta la mano. Poi mi viene in mente che di te conosco anche la voce: l'idea non sembra più così buona come prima, ma regge ancora. Ecco, la voce che sento proviene da un'altra dimensione: quel tuo TE con cui parlo riesce lo stesso a non essere ancora TE. Ti sposto da un mondo all'altro e i miei problemi si accantonano; adesso vi guardo e quasi sono felice: nessun pugno allo stomaco, niente più lacrime (tranne quando ricordo le vecchie lacrime, quando ancora tu eri vero), solo un vuoto piccolo di spazio che prima era occupato e ora è vacante. Tu sei due persone adesso: una, vera, che ha una vita distante e serena con una donna che ama, una vita ricca di impegni e di cose da fare; l'altra, quella che esiste solo per me, fatta di parole e font diversi, di voce a volte, puro spirito di uomo senza mani, né occhi, carne nessuna. Presenza che scalda, quando può, presenza di assenza che riesce, però soltanto, a farmi vedere meglio come io sia sola.

lunedì 18 luglio 2011


Il sonno ci aveva colto all'improvviso: quasi senza che ce ne accorgessimo ci eravamo ritrovate a respirarci addosso, con quel respiro pesante di chi è stanco, ma ancora non vuole rassegnarsi. Scivolate tra le nostre braccia, le parole si erano spente una alla volta, dopo che già gli occhi erano chiusi (che tanto tenerli aperti al buio sarebbe stato uno spreco): parole dette solo per continuare ad ascoltare la voce dell'altra, le risate, i sospiri.
Ma ad ogni notte segue il giorno: un giorno pieno di luci e profumi. Buona giornata, amore.
yuki

venerdì 15 luglio 2011

IL BACIO DELLA MORTE


Avrei voluto morirci in quella stanza d'albergo, che tu m'ammazzassi mentre eravamo lì pronti per uscire: tu, col giubbotto addosso e con le chiavi dell'auto in mano e io, a testa bassa che armeggiavo con la borsa prendendo tempo. Mi avresti ucciso come in un film (una volta l'ho visto, ma non ricordo cosa fosse esattamente) baciandomi, con quel bacio che mi hai dato, uno degli ultimi, mentre io ero già tutta chiusa accartocciata sperando che succedesse qualcosa che mi impedisse di uscire. Ma com'è che non succede mai niente quando una vorrebbe? Che ne so, gli alieni che arrivano e ti portano via, o di prendere fuoco (non hanno provato che esiste il fenomeno dell'autocombustione?) come un cerino, di sbriciolarsi al suolo un pezzo alla volta come un castello di carte: ma non è successo. Ho dovuto uscire per forza, prendere l'ascensore con te, arrivare alla reception e guardarti pagare il conto di una stanza che abbiamo occupato per due ore. Ed una volta arrivata all'auto aprire lo sportello e sedermici: neppure lì è accaduto nulla. La terra non mi ha inghiottito, nessun tremors nei paraggi, nessun colpo secco del platano picchiatore, nessun pazzo con una mega sega elettrica: niente. Quindi ho dovuto accendere l'auto e ripartire incamminandomi verso casa; e una volta a casa ho dovuto ricominciare tutto esattamente da dove avevo interrotto: un punto qualsiasi del nulla.

giovedì 14 luglio 2011

LEGITTIMI IMPEDIMENTI


No, non puoi fare l'offeso (e magari non lo stai neppure facendo, e magari hai avuto impedimenti tali che non mi hai potuto nemmeno dire "ciao, scappo"); nel caso ti fossi risentito sappi che non ne hai la facoltà. E visto che è pesante sentire le mie parole (io lo so, maledizione se lo so, di essere pesante e pignola e puntigliosa), che ti scarnifico le carni quando le pronuncio o le scrivo, le butto qui, in mezzo a tutte le altre, e poi cerco anche di nasconderle un po'. Mi sarei messa in auto verso le quattro del mattino, avrei fatto benzina durante la strada e magari anche colazione verso le sette e mezzo otto, e poi dritta fino all'albergo, in cui contavo di arrivare verso le nove massimo del mattino: e lì ti avrei aspettato. Avrei aspettato fino alle 7 di sera, avevo calcolato, che tu avessi un momento libero per me e che potessi scappare da me in albergo. Io avrei aspettato. Ma all'interno di un'intera giornata di un giorno qualsiasi scelto da te tra tre che io ti mettevo a disposizione tu non hai potuto trovare neppure un attimo in cui potenzialmente avremmo potuto incontrarci. Erano 9 ore per 3 giorni per un totale di 27 ore a tua disposizione e non ce l'abbiamo fatta: no, è diverso, io non ce l'ho fatta. Non ce l'ho fatta a farti inventare una trasferta qualsiasi, un cliente con problemi che richiedeva la tua presenza, persino una stronza ruota forata. Io non ce l'ho fatta. Davvero, come puoi pensare che, dopo aver perso tutta la mia dignità di donna-femmina che si metteva a tua disposizione solo per essere scopatatoccatabaciata, come puoi pensare amore mio che io mi rimetta a tua completa disposizione? ...io non posso. La lama che io avrei voluto tu mi passassi sul corpo (ricordi?), quella vera, quella che avresti dovuto portare tu, mi ha trapassato da parte a parte come fossi stata di burro. E mi sono sentita l'ultima delle ultime. Tu mi hai detto che da zero a cento ti andava bene qualsiasi cosa tra di noi; e io so di essere importante, ma non fondamentale. O forse sì, forse non capisco nulla. Io ho questo cuore che ha lasciato il petto e non è più mio, questo cuore che mi ritrovo tra le mani e non so che farne. L'unica cosa che non voglio farne è una tragedia: a sentire te va bene quasi qualsiasi cosa (che invidia che ho per come riesci a gestire questa cosa), e adesso anche io sono riuscita a darle una dimensione giusta (ma che cazzo sto dicendo, mi sembro un film coi sottotitoli). Ho la testa piena di te, ma tutto poi, sono solo te, una forma diversa di te e me insieme fusi, confusi (che a restare incinta di te almeno potrei parlarti ed averti dentro per nove mesi interi e ininterrotti...quante volte ci ho pensato...), confusa, distorta, piegata, sbiadita. Queste parole te le ho dette, ridette, qualcuna sì altre no, ripetute nella mia testa all'infinito, scritte sulla carne, descritte a circoletti nella fica ogni volta che mi sveglio la notte e mi accorgo che sognandoti mi stavo facendo l'amore: le ridico, perché mi serve per non implodere. Le ridico, le ho ridette.

giovedì 7 luglio 2011

HO SMESSO DI FARE L'AMORE


Ho smesso di fare l'amore perché non potevo avere te. Ho smesso con lentezza, senza accorgermene, come chi smette di fumare e non si aspetta che sia così semplice. Incosciente fino ad ora, persa a tirare calci ad una lattina per strada, a contare le pecore, a ripetere tabelline a memoria. Ho smesso perché ho perso il corpo un pezzo alla volta: sono state tue le mani, poi la voce, schiena, spalle, bocca, seno, piedi, fica, culo. Ho tenuto il cervello, per lavorare, e gli organi interni compreso un pezzo di cuore. All'inizio ho smesso di fare l'amore per amore; poi ho smesso e basta, e ho capito che avevo smesso di fare l'amore con chiunque, persino con te.