martedì 13 gennaio 2015

Sono seduta su una panchina aspettando che mia nipote esca da scuola e guardo le nuvole che veloci si muovono sopra di me; osservare questo manto che ci ricopre mi fa sempre pensare a quanti siamo, a come innumerervoli emozioni e fatti coinvolgano contemporaneamente gli esseri umani. Mentre io sono comodemente in attesa sicuramente esisterà un altro essere umano che piange, ride, partorisce, è vittima di violenza, dorme, parla, odia, ama, si comporta da carnefice: moltitudini di esseri e moltitudini di azioni e sentimenti. I fatti di Parigi, la Palestina, le carestie, i morti per fame e a causa della guerra sono tragedie. La vita, ogni esistenza, è fatta di piccole e grandi tragedie da sempre. Siamo tutti impegnati ad esprimere giudizi, a scrivere a grandi lettere "je suis Charlie", a piangere i morti famosi commemorandoli postando i loro video sui social networks; questa è la globalizzazione, a questo ci ha portato il poter sapere tutto nel momento stesso in cui accade: ad occuparci di cose lontane per evitare di accorgerci di quello che succede vicino a noi. Tutti i nostri sguardi sono puntati sul chiodo nell'occhio del nostro non troppo vicino per distrarci dal guardare la trave che è nel nostro; e vorremmo tutti aiutare chi è senza acqua, chi non può curarsi, chi non può sfuggire all'odio quotidiano, e vorremmo aiutarlo soprattutto perché è lontano da noi. Siamo degli ipocriti vigliacchi. 
Ci vuole una più grande forza per aiutare chi conosciamo: dobbiamo metterci in gioco, dobbiamo metterci la faccia, dobbiamo essere pronti a capire come farlo senza che l'altro si senta umiliato dal nostro gesto di aiuto; dobbiamo usare sensibilità e "sprecare" il nostro tempo. Non è così veloce come mandare una donazione tramite sms o firmare per l'8 per mille. Sapere i fatti del mondo non ci aiuterà ad essere migliori, tutt'altro. Cerchiamo di usare i nostri occhi e il nostro cuore per aiutare chi possiamo toccare con mano, l'aiuto arriverà poi anche a quelli più lontani.