venerdì 24 agosto 2012


E' folgorazione improvvisa, la fine.
Sei al telefono, con la gente che ti passa intorno, rumori di fondo di città paesi campagne mai visti, odori di genti stipate alla ricerca di felicità immediate. E tu al cellulare, perché parlarsi non era possibile, un po' per la lontananza, un po' per volontà non reciproca. Le decisioni in amore raramente si prendono in due. Al cellulare la sua voce, quella di sempre, forse più seccata del solito, per le continue domande: a questo punto tu, donna, dovresti aver capito, e lo hai fatto, ma non può bastare. Il non dire (l'evasione verbale dovrebbe essere considerata reato) non è sinonimo di comunicare realtà dolorose: il dolore si ha voglia di toccarlo, una donna ha bisogno di toccarlo. Ha necessità di sentire le parole "non ti amo basta vai via cosa vuoi non ho nessuna voglia di vederti stavo solo scherzando ci hai creduto?", non di essere trattata male: no, non di questo. La verità, quella abbastanza pesante da essere cemento legato ai piedi che affonda i corpi e libera l'anima. La verità, quella che neppure lui conosce, quella che non esiste, capitolo di racconti mitologici che nessuno legge più. E tu col cellulare in mano, e nessun senso più nella testa; Tu col cellulare in mano, àncora di una realtà, l'ultima rimasta. Bisogna aggrapparsi per resistere. Lascialo stare, lui, basta domande a cui non può e non sa rispondere; dagli solo le tue risate, quelle voleva, e un letto di carne su cui fantasticare di orgasmi da film. Sei la cattiva della situazione. Tu. E lui non è più LUI.

lunedì 6 agosto 2012

NON POTREI


Non potrei starti accanto in modo normale
Gli altri si accorgerebbero
dei respiri che tremano
degli occhi che ballano
degli abiti impazienti
Non potrei starti accanto in modo normale
Gli altri vedrebbero
le carni che si cercano
i peli che si annusano
i liquidi mischiati addosso
Non potrei starti accanto in modo normale
Ma niente altro vorrei più di questo.

lunedì 30 luglio 2012

SUCCEDE


Succede una cosa strana, succede a me, quando la persona a cui tengo, quella che amo, mi fa uno sgarbo. Io non riesco a dimenticarlo. Quella ferita , piccola, insignificante, resta lì dondolante come il sacco che continua ad oscillare dopo che lo si è colpito. Resta lì invisibile e muta all'altro. Ma io lo vedo, quello sgarbo, come una presenza fisica reale e così quando succede ancora e ancora, l'aria si riempie di tutte queste cose fastidiose e maleodoranti finché non riesco più a tollerare (che poi c'era un periodo nella mia vitaverso i 22 anni in cui tutti avevano il vizio di dire che il verbo tollerare è già di per sé non solo da non dire ma proprio da non pensare) quell'olezzo. Non riesco a scordare tutti quei dolori inferti senza ragione, quelle frasi pungenti che non hanno motivo di essere dette se non per ferire, quei silenzi, quella indifferenza, quelle lontananze che non sono fatti accidentali, ma scelte. Non riesco a dimenticare il dolo, ecco.
E succede, succede a me, che così di punto in bianco, il mio fisico oltre che al mio cuore, mi impedisca di provare quello che sentivo prima, come se l'affetto, l'amore mi fossero interdetti di colpo. Solo la tristezza rimane, per non riuscire bene a ricordare quel sentimento, come mi faceva sentire, i tremori dell'anima mia in quei momenti, la felicità pura di bambina. So che c'era, ma oramai è solo un'ombra; tremenda. Devastante.

giovedì 19 luglio 2012


Non fraintendermi. Era una battuta. Ci pensavo ieri sera (come se mai potessi smettere di pensare, ma): senza voce è tutto più semplice, scorre tutto meglio. Senza la tua voce che mi ha recuperato pure dalle furie più nere, in momenti in cui mi ero giurata di farti fuori in mille modi dopo esser rimasta per giorni nel limbo della dimenticanza. Senza voce è meglio. Adesso guardo le vostre foto e mi piacciono; le guardo e la nausea non si aggrappa allo stomaco; le guardo e riesco a vedere persino i vestiti. Vedo due persone che stanno bene e basta. Poi, solo dopo, arrivi tu, ma quasi come sogno, come dimensione giocata, come pulsante generalissimo di OFF.
Tutto questo per dirti che nonostante l'apparenza delle mie parole, il vedersi o il rivedersi non è tra le mie priorità.
Tutto questo per dirti che puoi usare tutte le parole che hai voglia di usare.

lunedì 16 luglio 2012

INEVITABILE


Quando un giorno finirà, finirà così come è cominciata: in silenzio. Nessuno se ne accorgerà forse neppure noi, che a quel punto ci saremo arrivati trascinati, quasi portati dalla corrente alla quale non abbiamo mai chiesto di indicarci la rotta. Sarà estraniante e irreale come vedersi volare via la falange di un dito, un piede intero, un braccio. Lo spavento, più che il dolore, nel vedersi smembrare senza poter opporsi; la perdita pacifica di qualcosa che è nostra, di qualcosa che siamo sempre stati noi, e che non siamo più. Inevitabile come il tempo che trascorre, e la pioggia che cade quando non dovrebbe.
Quando un giorno finirà saremo già tanto lontani da non accorgercene immediatamente; eppure, per tutto il resto della nostra vita, avvertiremo la mancanza forte, carnale, come dell'uomo a cui prude una gamba che non ha più.

domenica 1 luglio 2012

NO MORE WORDS


Io credo nelle parole, nella loro santità; non usarle più con me, né io le userò con te. Oppure usa solo quelle come "casa", "macchina" e "porta": parole che non fanno male. Tu le dicevi e pensavi ad un sogno che non era me, ed io tra voi due nel luogo sbagliato. Cercherò di non pensare a gli "amore", "incontro" e "voglia" che hai usato fino a farle diventare lise. E i sussurri; no, non sussurrare, anche i sussurri sono pericolosi adesso. E' necessaria più distanza, più di quanta non ce ne sia oggi, e molto silenzio per proseguire vivi. Incolumi è impossibile. Niente più parole. Niente più parole.

lunedì 25 giugno 2012

BRAVI SEMPRE


Siamo stati bravi a trovarci; tu, principalmente, mentre io ero persa ancora dietro vecchie ferite. Siamo stati bravi ad amarci, a lungo, senza ritegno, e con tutte le parole possibili. Col tempo, siamo diventati anche bravi nel nutrirlo quell'amore fatto di distanza, di acqua sgorgante, di risa, di mani, di occhi. Tutto c'era, e ancora c'è. Ancora. Poi, poco alla volta siamo diventati i migliori a lasciare la presa, a recitare copioni di coppie in crisi, di "non ho più il tempo per questi giochi", a riempire agende di appuntamenti, qualsiasi cosa pur di non pensare a quel noi. NOI. Ora che siamo arrivati a scaraventarci bicchieri di sale addosso, a storcere il naso davanti a ogni suono scritta segno, a fingere l'indifferenza, ad analizzare solo la mancanza, adesso sì, siamo da oscar.